Corso di alta formazione Profili teorici e pratici dell’esecuzione

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Corso di alta formazione Profili teorici e pratici dell’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza Modulo “Rieducazione e sicurezza” “L’OSSERVAZIONE DELLA PERSONALITA’ E IL TRATTAMENTO” Roberto Bezzi – Responsabile Area Educativa II Casa di Reclusione di Milano (Bollate) Milano – 15.11.2019

Breve introduzione alla storia della normativa penitenziaria pre riforma (dall'unità d'Italia al 1975) Nel 1889 venne emanato il codice penale Zanardelli, entrato in vigore il 1 gennaio 1890. 1891 R.D. 261 Regolamento generale degli Stabilimenti carcerari e dei riformatori giudiziari Venne abolita la pena di morte (sostituita con l’ergastolo) ma restarono severissime le pene per i reati contro la proprietà. E’ costituito da ben 891 articoli. Prevedeva un sistema molto ricco e articolato di norme sull’ordinamento del personale dirigenziale e sul corpo degli agenti di custodia. Per quanto riguarda i detenuti il regolamento era incentrato sul sistema delle punizioni e ricompense intorno al quale ruota la vita carceraria.

Nel periodo “giolittiano” (caratterizzato da governi con indirizzi politici liberali), il regolamento del 1891 subì alcune importanti modifiche tendenti a mitigare le condizioni disumane dei detenuti. Venne soppresso l’uso della catena al piede per i condannati ai lavori forzati e furono introdotte modifiche al rigido sistema delle sanzioni disciplinari, eliminando le disumane punizioni della camicia di forza, dei ferri e della cella oscura. Il successivo regio decreto 14 novembre 1903, n. 484 sancì l’abolizione della camicia di forza, dei ferri e della cella oscura.

L. 285 del 1904 riforma riguarda l’impiego dei condannati in lavori di bonifica di terreni incolti o malarici R.D. 1922 si allargano le maglie ma le prassi restano, cambia la competenza che passa al Ministero dell’Interno. Regolamento 1931 riprende quello del 1891 Uniche attività concesse: religione, istruzione, lavoro ( sfruttamento) Soppressione della personalità del detenuto, non nome ma numero di matricola, (negli anni del fascismo e della guerra, si sa poco ma si sa di violentissime rivolte).

TRATTI DI IMMUTABILITA’/CONTINUITA’ DEI PRINCIPI E DELLE REGOLE: ISOLAMENTO/SEPARAZIONE STRUTTURA BUROCRATICA RIGIDA E VERTICALISTICA LA COMPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE DETENUTA, PRESSOCHÉ COMPOSTA DA CETI PIÙ POVERI

Post guerra, carceri distrutte, rivolte, utilizzo “politico” del carcere. 1945 prima commissione parlamentare sulle condizioni delle carceri Circolari che sottolineano il “carattere afflittivo della pena” e la necessità di “arrecare sofferenze” 1947 (in vigore dal 01.01.1948) Costituzione (Art. 27 III Comma) EU 1950 - Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali REGOLE MINIME PER IL TRATTAMENTO DEI DETENUTI Ris. O.N.U. 30.08.1955 (es. Il regime dello stabilimento deve sforzarsi di ridurre le differenze che possono esservi tra la vita in carcere e quella libera, ove tali differenze portino a indebolire il senso di responsabilità del detenuto o rispetto della dignità della sua persona)

Anni ’50 cappellani, dame di San Vincenzo, prime cliniche per l’osservazione della personalità. ’68 lotte, politica, rivolte Il carcere si avvia verso la riforma del 1975, primi disegni di legge metà anni ’60. 1974 nascita dei N.A.P. (Nuclei Armati Proletari) Luglio 1975 – PENITENZIARIO Legge Principi e innovazioni penitenziario 354 – ORDINAMENTO principali dell'ordinamento La persona al centro e portatrice di diritti Apertura verso il mondo esterno Osservazione della personalità Trattamento (nuove figure educatori, esperti, AASS) 5 elementi Benefici e misure alternative (principi ispirati all’art. 27 III Comma, ma resta l’organizzazione verticistica)

Dal 1975 ad oggi Entrato in vigore l’O.P. la situazione non cambia subito, es. 1976 crisi carceraria (gravi episodi di violenza, evasioni anche di massa) 1977 carceri speciali (regime molto duro, sorveglianza a vista 24 h, colloqui con pannello divisorio, no attività) rivolte, si creano le Brigate di campo e i Comitati di Lotta - leggi emergenziali terrorismo - dissociazione 1986 Legge Gozzini n. 663 (apertura, permessi premio ecc, 47 bis, 47 ter) 1990 T.U stupefacenti (DPR 309/90) 1991/1992 introduzione art. 4 bis O.P. 1998 Legge Simeone – Saraceni (misure dalla libertà) 2003 indultino 2005 L. 251 Cirielli (recidiva ma det dom ultra 70enni) 2006 L. 241 Indulto 2008 Legge Bossi Fini 2009 Legge 38 Poi le riforme del 2013/2014 e la recente riforma del 2018

L’OSSERVAZIONE DELLA PERSONALITÀ E IL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO Art. 1 Trattamento e rieducazione 1. Il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Esso è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, identità di genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose, e si conforma a modelli che favoriscono l'autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l'integrazione. 2. Il trattamento tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati. 3. Ad ogni persona privata della libertà sono garantiti i diritti fondamentali; è vietata ogni violenza fisica e morale in suo danno. 4. Negli istituti l'ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà. 5. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con l'esigenza di mantenimento dell'ordine e della disciplina e, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

Art. 13 Individualizzazione del trattamento Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto, incoraggiare le attitudini e valorizzare le competenze che possono essere di sostegno per il reinserimento sociale. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato e per proporre un idoneo programma di reinserimento. Nell'ambito dell'osservazione è offerta all'interessato l'opportunità di una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione. L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa. Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati dell'osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione. La prima formulazione è redatta entro sei mesi dall'inizio dall'esecuzione. Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella cartella

Art. 15 Elementi del trattamento Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente: dell'istruzione della formazione professionale del lavoro della partecipazione a progetti di pubblica utilità della religione delle attività culturali, ricreative e sportive agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro.

REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (DPR 230 DEL 2000) Art. 27. Osservazione della personalità 1. L'osservazione scientifica della personalità è diretta all'accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione. Ai fini dell'osservazione si provvede all'acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento. Sulla base dei dati giudiziari acquisiti, viene espletata, con il condannato o l'internato, una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l'interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa. 2. All'inizio dell'esecuzione l'osservazione è specificamente rivolta, con la collaborazione del condannato o dell'internato, a desumere elementi per la formulazione del programma individualizzato di trattamento, il quale è compilato nel termine di nove mesi. 3. Nel corso del trattamento l'osservazione è rivolta ad accertare, attraverso l'esame del comportamento del soggetto e delle modificazioni intervenute nella sua vita di relazione, le eventuali nuove esigenze che richiedono una variazione del programma di trattamento. 4. L'osservazione e il trattamento dei detenuti e degli internati devono

Nel 1958 veniva fondato l’INO (Istituto Nazionale di Osservazione) descritto come un carcere sperimentale simile a una clinica medica. Tempi, metodi e un’osservazione standardizzata, quindi, ispiravano la discussione parlamentare intorno alla riforma penitenziaria. In quegli anni, tra le altre cose, anche alcuni movimenti criminologici cercavano di ipotizzare un carcere diverso e più rispondente alle cause del crimine. Non a caso riviste come la Rassegna di studi penitenziari e i Quaderni di criminologia, gestite a quei tempi da un gruppo di riformatori, erano vicine a scuole come quella francese della Defense sociale nouvelle: se il reato era il sintomo di una deviazione, il carcere doveva essere la clinica ove studiarne la causa.

L’ÉQUIPE DI OSSERVAZIONE E TRATTAMENTO: AMBITO DI AZIONE art. 13 O.P. (Individualizzazione del trattamento) art. 27 reg. es. (Osservazione della personalità) art. 28 reg. es. (Espletamento dell'osservazione della personalità) art. 29 reg.es. (Programma individualizzato di trattamento)

L’ÉQUIPE DI OSSERVAZIONE E TRATTAMENTO Presidente: il Direttore Componenti: 1. L’educatore (che è anche segretario perché scrive il verbale) 2. Il personale di polizia penitenziaria 3. L’assistente sociale 4. L’esperto ex art. 80, se attivato

L’OSSERVAZIONE DELLA PERSONALITA’ L’osservazione in Istituto avviene attraverso tre modalità: l’osservazione formale (analisi del fascicolo, controllo SDI); l’osservazione dialogica (il colloquio educativo e psicologico); l’osservazione partecipante (attraverso momenti di osservazione diretta da parte dell’educatore “in situazione”, le osservazioni della polizia penitenziaria con il supporto delle schede di cui al PEA 11/2007 e dei sistemi elettronici, contributo di tutti gli operatori del G.O.T.). Si prediligeranno quelle forme di osservazione diretta (partecipante), cioè non strutturata nel setting della relazione duale ma in situazioni “nel contesto” del detenuto, cioè in sezione, durante le attività e con la creazione di momenti ad hoc che permettano anche di rilevare le dinamiche del gruppo.

Tutti gli elementi raccolti dai vari operatori che partecipano all’osservazione, vengono discussi in sede di équipe, al termine della quale si stende la relazione di sintesi e la formulazione del relativo programma di trattamento. Tale programma, che deve essere vagliato dal magistrato di sorveglianza, deve tenere conto, essendo individualizzato, dell’esito del procedimento di osservazione e può essere: intramurario (il condannato svolge attività solo all’interno dell’istituto) parzialmente extramurario (ad esempio attraverso la proposta del lavoro all’esterno o della fruizione di permessi premio) interamente extramurario (quindi con l’ipotesi dell’applicazione di una misura alternativa alla detenzione).

L’OSSERVAZIONE E I SUOI NODI CRUCIALI L’OGGETTIVITÀ SCIENTIFICA È UN MITO L’OSSERVATORE DEVE INCLUDERSI NELL’OSSERVAZIONE INTERPRETAZIONE COMPRENDE L’INTENZIONE DESCRIVENDO GIÀ SI INTERPRETA. Elementi di criticità L’osservazione in un contesto artificiale non può essere autentica L’osservazione all’interno di una relazione di potere ha insita la manipolazione Osservare senza comprendere il mondo dell’altro (la sua appartenenza culturale, i suoi codici, etc) rischia di fuorviare l’osservatore Elementi di forza Il tempo e la continuità dell’osservazione, se contestualizzati in una relazione significativa, possono lenire gli effetti dell’artificiosità Il lavoro d’équipe agevola una visione complessiva e più realistica della persona (più operatori con diversi approcci e strumenti professionali osservano la medesima persona) La possibilità di osservare l’altro nel suo contesto (come si muove, che relazioni instaura etc) nonché in contesto esterno (permessi premio in occasione di eventi, lavoro all’esterno) aiuta

IL DOCUMENTO DI SINTESI Tutti gli apporti dei singoli operatori effettuati nel periodo di osservazione del detenuto devono confluire – in seguito alla riunione dell’équipe di Osservazione e Trattamento – nel documento di sintesi. La circolare del 2005 ha spiegato come tale documento deve essere strutturato e quale la “griglia” da seguire. I nodi cruciali del documento di sintesi, in termini operativi e cioè da parte di chi deve scriverlo, sono essenzialmente i seguenti: linguaggio/formule retoriche/rappresentazione di chi scrive e non del soggetto in esame. Spesso il rischio insito nella stesura delle relazioni di sintesi è quello di utilizzare un linguaggio carico di pregiudizi e tipizzazioni, di formule retoriche che tendono a categorizzare il soggetto piuttosto che a descrivere lo sviluppo del percorso di vita e penitenziario. In tale rischio è compreso l’elemento del sé di chi scrive e cioè spesso emerge più che la persona “oggetto” del documento, la persona che scrive, con tutto il suo “mondo emotivo” e la sua storia e le sue valutazione personali. Al contrario, invece, si dovrebbero evitare tutte le formule retoriche e spiegare gli elementi che si sono raccolti e come sono stati raccolti.

sterile esercizio di sintesi senza il quadro complessivo – il file rouge – della storia del detenuto. Altro rischio attiene un documento di sintesi che riporta molti dati (anamnestici, giuridici etc) ma nel quale manca la persona in oggetto, la dimensione del “come è” e spesso non si comprende la strutturazione della “carriera deviante”, le tappe della vita della persona che lo hanno portato al reato. Spesso nelle storie di vita che analizziamo emergono delle fasi e delle figure che sono state fondamentali per la svolta deviante che non appaiono in modo chiaro se il documento di sintesi è un mero “copia” e “incolla” di contributi individuali. spiegazione del processo avvenuto durante la riunione dell’équipe evidenziando le criticità. Altro elemento critico nelle relazione di sintesi è che spesso manca la descrizione (genuina) del processo che ha accompagnato l’équipe a prevedere un certo programma di trattamento, e cioè anche gli elementi di criticità evidentemente superati da altri elementi positivi. Il nesso logico tra gli elementi raccolti e il programma di trattamento formulato non può che passare dalla descrizione del processo decisionale dell’équipe.

LA RELAZIONE EDUCATIVA E IL CAMBIAMENTO L’operatore del trattamento utilizza la relazione educativa come strumento nella gestione del quotidiano e tale relazione per poter aver l’accezione di “educativa” deve essere “asimmetrica”. Infatti pur nella vicinanza, nell’empatia e nell’ascolto, l’operatore deve essere leva al cambiamento e tale non potrebbe essere se si ponesse sullo stesso livello dell’utente (collusione), elemento questo di non movimento/dinamicità. L’operatore pertanto deve sapere ricoprire innanzitutto un “ruolo” e se questo viene altresì riconosciuto dagli utenti, di fatto l’asimmetria è conseguente. Nell’educazione degli adulti (nelle teorie dello sviluppo andragogico) spesso si ribadisce come possibile il cambiamento in età adulta (non più vissuta come punto di arrivo e perciò statica) e questo è sollecitato da vari fattori, uno dei quali è rappresentato dalle relazioni affettive. La preservazione di queste (o meglio il consolidamento) è pertanto un punto di inizio dell’accompagnamento educativo. La sollecitazione al cambiamento spesso però – in contesto penitenziario – si scontra con una struttura rigida che tende a passivizzare la persona e a renderla oggetto (di regole, orari, mansioni, modalità comportamentali). Questi effetti – studiati da Goffmann in quelle che l’autore definisce “istituzioni totali” – possono portare – soprattutto nelle lunghe detenzioni – a processi di spersonalizzazione. La modalità di organizzazione della custodia attenuata, che proprio perché nasce

GLI EFFETTI DELLA PRISONIZZAZIONE Il carcere è un luogo artificiale (nel senso che non è un habitat esistente in natura) e totale (cioè al cui interno si svolge l’intera esistenza – per un certo periodo – dei detenuti) e già queste due caratteristiche rimandano all’idea di una comunità “altra” rispetto alla vita in libertà, con regole, tempi, modi propri che ovviamente incidono sulla persona e sulle sue abitudini. Il potere di persuasione/manipolazione di un luogo di questo tipo, in termini di comportamento, è immenso e più la detenzione è lunga e il regime rigido, più sono visibili gli effetti sulla persona (anche in base a età e struttura della personalità). Il termine prisonizzazione attiene alle potenzialità insite nel carcere di modificare la personalità e il comportamento del detenuto e fu coniato da Clemmer nel 1940. Dinamiche simili (ma meno invasive) si rilevano anche negli ospedali, in caso di lunghe degenze e si ascoltano racconti di pazienti che, una volta dimessi, si percepiscono ancora

Inoltre, nel caso del carcere, vi è una “cultura” omologante che però crea meccanismi difensivi (e di sopravvivenza sociale) e una sorta di maschera che permette da un lato di evitare un eccessivo “contagio” (per chi si sente estraneo al contesto) e di strutturare una sorta di falso sé (spesso dominante e grandioso) per chi sente di avere trovato uno spazio di espressione efficace. Spesso il carcere slantentizza problemi psichici preesistenti ma al contempo, se vissuto come evento traumatico, può causare un vero e proprio disturbo post traumatico da stress. Negli studi criminologici si sono più volte affrontate quelle che la letteratura indica quali psicosi carcerarie: disturbi paranoici, la sindrome di prisonizzazione e la sindrome di Ganser.

LA SINDROME DI PRISONIZZAZIONE è stata riscontrata soprattutto nei regimi più isolati, senza stimoli e con un tempo monotono che scandisce le giornate detentive e si esplicita in un totale adattamento del soggetto che perde ogni capacità di resistenza e opposizione, uscendo dall’esperienza detentiva così impoverito da non avere strumenti (psicologici e sociali) per affrontare la vita all’esterno. È la conseguenza di un concetto di carcere, ormai superato, come luogo di correzione e addomesticamento che però produceva effetti desocializzanti. LA SINDROME DI GANSER è stata riscontrata in quei soggetti che, soprattutto nella fase del giudizio, cercavano di evitare il processo dimostrandosi incapaci di intendere e volere e se tale meccanismo, all’inizio, era una simulazione, con il tempo vi era una tale identificazione con il malato di mente che portava il detenuto a sviluppare realmente disturbi psichici rilevanti. Più in generale si possono ricondurre all’esperienza detentiva almeno due tipi di prisonizzazione: una come apprendimento

Il collante di tutte le azioni educativamente performanti è la relazione che si instaura con il condannato; il detenuto deve percepire l’educatore come un soggetto che agisce, si muove, interviene alla pari. Egli è rappresentante e testimone della dimensione umana, colui che è partecipe delle sue problematiche. Il trattamento ha vissuto varie fasi di riconoscimento culturale, dapprima, sull’onda di una sorta di mito della rieducazione, viene inteso come risposta alla devianza, in seguito viene rivisitata criticamente la sua efficacia, con un notevole dibattito in merito alla sua possibile funzione di addomesticamento. In questo senso appariva necessaria la neutralità degli operatori rispetto ai valori e la consapevolezza che il trattamento fosse volto a modificare gli atteggiamenti e non a modificare la personalità .

Educatore per adulti ricercatore in proprio – laboratorio – necessità di partire dalla biografia dell’altro. Esperienza individuale tragitto ADULTITA’ Persistenze Discontinuità Adultità Intersezione di più dimensioni esistenziali Vissuto pluridimensionale (impossibile definire l’età adulta) Lungi dall’essere età/approdo, è suscettibile di trasformazioni

L’ADULTO E’ CHI AUTORE ha una percezione realistica degli altri e dell’ambiente A.H. MASLOW Teoria personalistica dei sa accettare se stesso e gli altri sa individuare e risolvere problemi bisogni sa stare da solo e con gli altri CAMBIAMENTO cambia chi sa autorealizzarsi come adulto di fronte all’esperienza; chi sa sfidare i limiti sociali e personali frapposti alle tendenze vitali sa essere autonomo e indipendente sa vivere intensamente le esperienze E. H. ERISON Teoria degli stadi evolutivi e dei cicli avverte il bisogno di realizzare qualcosa di durevole avverte il senso della generatività, della procreatività, della produttività e della creatività afferma il proprio potere autogenerativo Il bisogno di cambiamento è avvertito in relazione a nuovi “compiti modali” intrapsichici e sociali. Chi cambia avverte il superamento della stagnazione dei precedenti stadi. G. LAPASSADE la nozione di adulto è relativa adulto è chi è consapevole della propria incompiutezza chi sa superare la paura del cambiamento La tolleranza dell’ansia di fronte al nuovo attiva i processi di cambiamento e consente l’apprendimento come esame di realtà D.J. LEVINSON Teoria degli eventi focali avverte il senso di compenetrazione tra sé e il mondo si impegna socialmente e scopre nell’opera di trasformazione la propria adultità sa investire in compiti valoriali, desideriali, conflittuali, decisionali. Il cambiamento è in corrispondenza alle istanze della propria struttura vitale, è contributo alla sua costruzione. Esso avviene in relazione a eventi significativi (markers) che ristabiliscono le relazioni focali con sé stessi, gli altri, le esperienze M. KNOWLES Teoria andragogica sa passare dalla dipendenza a una progressiva indipendenza e autonomia accumula “riserve di esperienza” vede accrescere i suoi compiti sociali di ruolo affronta e risolve problemi Il cambiamento è ciò che produce trasformazioni nel concetto di sé a partire dall’esperienza, al fine di raggiungere un maggior grado di adeguatezza all’ambiente e agli altri.

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